Due terzine illuminanti, una nella cantica del Purgatorio e una in quella del Paradiso, indicano quanto Dante fosse ad un tempo poeta e uomo di scienza. Proprio con la poesia ha però superato la scienza del suo tempo, oltre la cosmologia tolemaica della sua epoca.
Di questo hanno parlato nell’area megalitica di Aosta il fisico teorico Fabio Truc e il giornalista Enrico Martinet. Dante rimane legato alla concezione di Tolomeo e alla sua geografia celeste fino all’ultimo dei nove cieli, poi entrando nell’Empireo costruisce un’apparente contraddizione con gli altri nove cieli che ruotano intorno a Dio, punto luminosissimo, ma per la prima volta evoca la quarta dimensione, quindi perfino lo spazio-tempo di Einstein.
E proprio con la sua poesia annuncia ciò che all’epoca nessuno aveva visto, cioè la costellazione della Croce del Sud, nel cielo australe. Ecco la terzina rivelatrice del primo canto del Purgatorio.
“I’ mi volsi a man destra, e puosi mente
all’altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch’alla prima gente”.
Mentre è nel Paradiso che svela una concezione dell’universo mai pensato nella sua epoca. Ecco la terzina del canto XXX.
“Non altrimenti il triunfo che lude
sempre dintorno al punto che mi vinse,
parendo inchiuso da quel ch’elli ‘inchiude”.
Dante indica qui che il punto centrale dei nove cieli dell’Empireo, cioè Dio, in realtà li racchiude tutti. E’ insieme il concetto dell’infinito, dell’origine di ogni cosa e della possibilità di vedere quel punto da ogni luogo. Dante individua quindi l’origine di ogni cosa e non lo fa ricorrendo alla fede o alla teologia, ma alla fisica. Sprofonda il suo sguardo da poeta nel passato, nel luminosissimo Big Bang, la nascita dell’universo. E per rendere con un’immagine ciò che il poeta spiega in versi l’unica possibilità è l’ipersfera, una sfera a più di tre dimensioni.
e.m.