Justine Vuylsteker è una cineasta e un’artista visiva francese. Nel 2015, dopo studi di cinema d’animazione all’Esaat (Roubaix), mette in immagini una poesia di Robert Desnos in Paris. Nel 2018, realizza Étreintes. Nel 2020, crea le sequenze animate di À travers Jann di Claire Juge.
Una giovane donna osserva dalla finestra il cielo, prima di un temporale. Ricorda il suo compagno e la sua immagine riappare nella nebbia. Per questo cortometraggio animato, la regista Justine Vuylsteker ha scelto la tecnica dello schermo di spilli. Disegna due corpi, insieme presenti e assenti, ma entrambi legati da uno stesso desiderio carnale. I loro corpi celesti si abbracciano e si elevano verso le nuvole, che prendono la forma del loro amore. Ma questo ricordo sensuale è eterno?
✶Prod. [Rafael Andrea Soatto, Offshore, Julie Roy, ONF]✶
Intervista di Justine Vuylsteker
Come si è svolto il lavoro di creazione del film?
Tra la prima scintilla e la finalizzazione del film, la creazione diÉtreintes è durata due anni. Tutto è partito da una residenza di un mese con lo schermo di spilli, in cui le mie ricerche si sono invariabilmente orientate verso la sensualità e l’astrazione. Da lì ho passato un anno a scrivere, in poesia e in prosa molto più che in sceneggiatura, con l’intenzione di costruire una narrativa - anche poco densa - che possa tenere insieme i miei desideri plastici. E poi il momento delle riprese è arrivato: ho potuto ritrovare lo schermo di spilli per 6 mesi e mezzo di fabbricazione. Riprese che ho iniziato improvisando... Esercizio faticoso, ma esaltante di sorprese: sono arrivati la pioggia, la foschia ed i movimenti di trasformazione di cui non mi sentivo capace. Direi che tutto il tempo, la mia preoccupazione è stata quella di rispettare la mia tecnica, e di costruire il film per essa.
Lei potrebbe darci qualche informazione in più sulla tecnica dello schermo di spilli?
Assolutamente! Gli schermi di spilli sono strumenti ereditati da Alexandre Alexeieff (incisore) e da Claire Parker (ingegnere), due cineasti favolosi che hanno inventato questa tecnica all’inizio degli anni 1930, e che l’hanno perfezionata fino alla fine degli anni 1970. Oggi, tre dei loro schermi sono ancora funzionali e utilizzabili per realizzare dei film. Aldilà del genio tecnico di questi strumenti, e della grande qualità plastica delle immagini che permettono di mettere in moto, lavorare con uno schermo di spilli è un’esperienza unica. Quando si lavora, non è solo con il polso o la spalla, è tutto il corpo ch’è impegnato nella fabbricazione. Il movimento comincia con il dito del piede, vi attraversa la schiena per rinascere nella punta dello strumento che accarezza e scolpisce gli spilli. C’è, in questa tecnica, qualcosa che appartiene alla danza, o al dialogo tra un musicista e il suo strumento.
Il respiro dei personaggi, i rumori della natura e la musica sembrano sostituire i dialoghi. Quale importanza Lei attribuisce loro?
È un’osservazione molto giusta. Étreintes può essere letto come la sveglia progressiva del corpo di questa donna, immobile alla finestra. Lentamente, faticosamente, esce dalla prigione del suo corpo, per riconnettersi con il movimento, e il presente. Per questo personaggio, di cui le corde vocali sono addormentate così come il resto del suo corpo, non ho potuto immaginare altro che un film senza parole. Di fronte al suo silenzio, i suoni e la musica si sono rivelati essenziali per poter esprimere la sua interiorità. Finalmente, tutto, al di fuori di lei, diventa specchio o proiezione delle sue emozioni. E in questo processo delicato, ho avuto la fortuna di poter contare su collaboratori, per il suono e la musica, capaci di scolpire con sottigliezza il silenzio creato da questo personaggio muto.
Étreintes rappresenta allo stesso tempo la presenza e l’assenza di due corpi, legati da uno stesso desiderio carnale. Quale posto occupa la sensualità nel Suo film?
Non sorprendentemente, un posto centrale. È la prima cosa che mi ha colpita, quando ho cominciato a lavorare con lo schermo di spilli. La sua sensualità. In particolare quando lo si spoglie dell’ombra dei suoi spilli, e che si rivela il bianco latte della sua superficie, rovinata dagli anni, e costellata di cicatrici. Questo bianco è molto commovente... così sconcertante e assomiglia all'epidermide della pelle. Non mi è stato possibile tralasciare questa potenza plastica, in particolare perché mi portava verso quello che preferisco mettere in scena: il corpo. Allora quando ho scritto i personaggi e la loro storia, l’ho fatto per mettere in rilievo questo punto preciso, la sensualità della materia.
I personaggi finiscono per abbracciarsi ed elevarsi verso le nuvole. Lei li qualificherebbe di «corpi celesti»?
Forse sì, durante questo brevissimo momento in cui, gettandosi tra le braccia dell’uomo, si cade nell’abbraccio bianco. In questo momento, durante quei pochi secondi in cui i corpi sono ancora troppo suggeriti per essere riconosciuti, e che la musica comincia, forse sì, sono corpi celesti. Tutto il viaggio dopo questo punto, è solo la discesa sulla Terra. Dopo gli abbracci aerei, quando i corpi ritrovano l'involucro carnale, quando li indoviniamo sempre di più, e che lasciano il bianco etereo delle nuvole per ritrovare i grigi ed i neri; è il ritorno alla gravità. Finalmente, il dramma di quella donna, non è forse di essere divisa tra il passato e il presente... ma di dover riconciliare l’esperienza di un momento celeste, all’interno di una vita terrena.
(Capucine)
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